Il progetto di ricerca trae spunto dal dibattito in corso sulla riforma degli studi di Giurisprudenza e si propone di riflettere sulle
metodologie più efficaci per l’insegnamento del diritto, muovendosi nella cornice teorica di un nuovo “umanesimo tecnologico” ed
avendo presente la destinazione delle attività formative alle generazioni dei nativi digitali. Il contesto appare favorevole, in specie
considerata la recente istituzione di corsi di “Didattica del diritto”, significativamente incardinati nel SSD IUS/20.
Il progetto prende le mosse da un’indagine su pregi e limiti della tradizionale didattica del diritto, sulle visioni del diritto e della
giustizia cui essa è correlata, sul rapporto tra oralità e scrittura che la caratterizza (lezioni frontali e unidirezionali, erogazione di
informazioni di carattere teorico, apprendimento mediato da libri di testo tendenzialmente esaustivi). Il parziale deficit di efficacia di
tale impostazione, diffusamente riscontrato nella prassi, sarà oggetto di specifica diagnosi quanto alle cause e tenendo presenti,
anche grazie ad analisi empiriche svolte con l’aiuto di psicologi e pedagoghi coinvolti come consulenti del progetto, le specificità dei
processi cognitivi ed euristici delle generazioni digitali.
Ciò costituisce la premessa per una riflessione, da parte del gruppo di ricerca, sulla possibile integrazione di metodologie, tecniche e
contesti nel processo di formazione del giurista. Tali obiettivi verranno teorizzati e messi alla prova guardando al passato e
volgendosi al futuro, dunque analizzando emblematici modelli formativi adottati nella storia, al fine di porre in dialogo le antiche arti
liberali con le innovative arti digitali della giurisprudenza, così da individuare modelli idonei a coinvolgere i discenti in un processo
formativo pienamente inclusivo.
La categoria dell’inclusione costituisce la chiave di lettura del progetto sotto diversi profili: dal modo in cui lo studente partecipa
all’esperienza formativa, anche avvalendosi di strumenti di innovazione digitale; al contesto spaziale in cui questa si svolge, ad
esempio in luoghi che consentano un coinvolgimento ‘immersivo’; alla possibilità che la formazione – in attuazione degli obiettivi
della c.d. “Terza Missione” dell’Università – prenda forma grazie ad un contatto diretto con casi concreti in cui le domande di
giustizia, in specie in situazioni-limite della vita sociale (il disabile, il detenuto, il migrante) esigono che il diritto sia chiamato a
garantire dal rischio dell’esclusione.
L’indagine sui modelli inclusivi e partecipati di formazione sarà condotta in adesione alle linee PNRR, in particolare la missione 1
“Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” e la missione 4 “Istruzione e ricerca”. L’approccio teorico sopra
delineato sarà messo alla prova attraverso pratiche ed esperienze restituite dal metodo clinico-legale, già adottato presso le
università partner.